La monografia ha come tema principale lo studio della figura di Aulo Ofilio nel suo tempo, ma anche quello della sua eredità nelle opere giurisprudenziali romane. Se gli ultimi decenni della ricerca romanistica sono stati caratterizzati da un importante fiorire di studi relativi alla giurisprudenza della Repubblica e del Principato, è anche vero che, in generale, queste opere si caratterizzano più per il tentativo di offrire una visione globale e sintetica del periodo o delle figure storiche dei singoli giuristi, che per un’analisi esegetica sistematica relativa alle fonti che ci sono pervenute. Esempio emblematico è appunto quello di Aulo Ofilio, giurista fiorito nella tarda repubblica, - da ciò che si arguisce dalla lettura dell’Enchiridion di Pomponio - amico fraterno di Cesare, tanto che, secondo un’ipotesi che tende a perpetrarsi nel tempo, questi avrebbe affidato, come suo consigliere giuridico, addirittura la risistemazione della disordinata congerie di fonti del diritto romano in un progetto codificatorio di ampio respiro, ovviamente fallito per il succedersi degli eventi. Tale notizia, legata a spunti offerti da Svetonio (Iul. 44) ed Isidoro (Etym. 5.15), ha stimolato la fantasia di molti autori moderni, ed è su questo senza dubbio suggestivo aspetto che si sono incentrati i non numerosi lavori degli ultimi decenni. Si sentiva, invece, l’esigenza fondamentale di procedere a un’analisi dei frammenti del Digesto nei quali viene citata l’opinione di Ofilio, unico strumento, seppur basato sulle poche tessere offerte dai frammenti di giuristi che l’hanno citato conservate nel Digesto, tramite il quale si possono cercare di comprendere alcune linee del suo pensiero e soprattutto del suo metodo di lavoro. La ricerca si è particolarmente appuntata sull’esegesi delle fonti giuridiche nelle quali è riportato un parere del giurista in ambito successorio (il tema decisamente più abbondante di testimonianze e ricco di stimoli), non solo limitandosi alla semplice citazione di Ofilio, ma prendendo in considerazione l’intero frammento nel quale essa si trova inserita, di modo tale da poter riflettere anche 1) sull’eventuale commento favorevole o sfavorevole del giurista autore del passo 2) sul possibile accostamento con le opinioni in accordo o disaccordo di altri giuristi antecedenti, coevi o posteriori a Ofilio stesso 3) sul contenuto generale del frammento in rapporto con il pensiero ofiliano. La ricerca quindi ha avuto lo scopo di individuare, per quanto le fonti lo consentono, le linee fondamentali del pensiero giuridico di Aulo Ofilio, in particolare relativamente al tema delle successioni, nel contesto del travagliato periodo storico, cercando di determinarne il livello di autonomia e originalità in rapporto con il maestro, Servio Sulpicio Rufo, e gli altri giuristi del suo tempo, così come l’impronta personale che egli ha lasciato nella storia della giurisprudenza romana. Un altro ambito di indagine centrale è stato quello delle modalità con cui egli si è raffrontato con i giuristi del passato, ma soprattutto con Quinto Mucio Scevola, con cui, tramite l’analisi esegetica, si scopre avere più affinità di quanto ci si potrebbe attendere. Uno dei temi più fruttuosi riguarda, come si è detto, l’indagine sul rapporto tra Ofilio e i suoi contemporanei: Aulo Cascellio e Trebazio Testa, soprattutto, oltre che gli altri auditores Servii; in merito a ciò spicca l’assenza di raffronti o accostamenti diretti nelle fonti con l’altro principale allievo di Servio, Alfeno Varo. Un argomento a silentio che può essere significativo per comprendere il rapporto tra i due ma, in particolare, il diverso modo di confrontarsi con il magistero serviano. Un altro obiettivo, non meno centrale, è stato quello di verificare in che modo i giuristi posteriori hanno valutato il lavoro di Ofilio, quale sia stata insomma la sua eredità sia nell’immediato futuro (soprattutto grazie al contributo dell’epitome dei Libri posteriores Labeonis di Giavoleno), sia a secoli di distanza (in particolare in Pomponio e Ulpiano).

Caesari familiarissimus : ricerche su Aulo Ofilio e il diritto successorio tra Repubblica e Principato

BIAVASCHI, PAOLA
2011-01-01

Abstract

La monografia ha come tema principale lo studio della figura di Aulo Ofilio nel suo tempo, ma anche quello della sua eredità nelle opere giurisprudenziali romane. Se gli ultimi decenni della ricerca romanistica sono stati caratterizzati da un importante fiorire di studi relativi alla giurisprudenza della Repubblica e del Principato, è anche vero che, in generale, queste opere si caratterizzano più per il tentativo di offrire una visione globale e sintetica del periodo o delle figure storiche dei singoli giuristi, che per un’analisi esegetica sistematica relativa alle fonti che ci sono pervenute. Esempio emblematico è appunto quello di Aulo Ofilio, giurista fiorito nella tarda repubblica, - da ciò che si arguisce dalla lettura dell’Enchiridion di Pomponio - amico fraterno di Cesare, tanto che, secondo un’ipotesi che tende a perpetrarsi nel tempo, questi avrebbe affidato, come suo consigliere giuridico, addirittura la risistemazione della disordinata congerie di fonti del diritto romano in un progetto codificatorio di ampio respiro, ovviamente fallito per il succedersi degli eventi. Tale notizia, legata a spunti offerti da Svetonio (Iul. 44) ed Isidoro (Etym. 5.15), ha stimolato la fantasia di molti autori moderni, ed è su questo senza dubbio suggestivo aspetto che si sono incentrati i non numerosi lavori degli ultimi decenni. Si sentiva, invece, l’esigenza fondamentale di procedere a un’analisi dei frammenti del Digesto nei quali viene citata l’opinione di Ofilio, unico strumento, seppur basato sulle poche tessere offerte dai frammenti di giuristi che l’hanno citato conservate nel Digesto, tramite il quale si possono cercare di comprendere alcune linee del suo pensiero e soprattutto del suo metodo di lavoro. La ricerca si è particolarmente appuntata sull’esegesi delle fonti giuridiche nelle quali è riportato un parere del giurista in ambito successorio (il tema decisamente più abbondante di testimonianze e ricco di stimoli), non solo limitandosi alla semplice citazione di Ofilio, ma prendendo in considerazione l’intero frammento nel quale essa si trova inserita, di modo tale da poter riflettere anche 1) sull’eventuale commento favorevole o sfavorevole del giurista autore del passo 2) sul possibile accostamento con le opinioni in accordo o disaccordo di altri giuristi antecedenti, coevi o posteriori a Ofilio stesso 3) sul contenuto generale del frammento in rapporto con il pensiero ofiliano. La ricerca quindi ha avuto lo scopo di individuare, per quanto le fonti lo consentono, le linee fondamentali del pensiero giuridico di Aulo Ofilio, in particolare relativamente al tema delle successioni, nel contesto del travagliato periodo storico, cercando di determinarne il livello di autonomia e originalità in rapporto con il maestro, Servio Sulpicio Rufo, e gli altri giuristi del suo tempo, così come l’impronta personale che egli ha lasciato nella storia della giurisprudenza romana. Un altro ambito di indagine centrale è stato quello delle modalità con cui egli si è raffrontato con i giuristi del passato, ma soprattutto con Quinto Mucio Scevola, con cui, tramite l’analisi esegetica, si scopre avere più affinità di quanto ci si potrebbe attendere. Uno dei temi più fruttuosi riguarda, come si è detto, l’indagine sul rapporto tra Ofilio e i suoi contemporanei: Aulo Cascellio e Trebazio Testa, soprattutto, oltre che gli altri auditores Servii; in merito a ciò spicca l’assenza di raffronti o accostamenti diretti nelle fonti con l’altro principale allievo di Servio, Alfeno Varo. Un argomento a silentio che può essere significativo per comprendere il rapporto tra i due ma, in particolare, il diverso modo di confrontarsi con il magistero serviano. Un altro obiettivo, non meno centrale, è stato quello di verificare in che modo i giuristi posteriori hanno valutato il lavoro di Ofilio, quale sia stata insomma la sua eredità sia nell’immediato futuro (soprattutto grazie al contributo dell’epitome dei Libri posteriores Labeonis di Giavoleno), sia a secoli di distanza (in particolare in Pomponio e Ulpiano).
2011
9788814156816
Biavaschi, Paola
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11383/2044729
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