Si tratta di un lavoro monografico che si inserisce nel solco degli studi sul fenomeno dell’abuso. In particolare con essa si è voluto offrire un contributo allo studio di una delle fattispecie abusive che si possono riscontrare in sede processuale, quella dell’abuso dell’azione. La tesi sviluppata è che tale abuso dell’azione possa portare al rigetto per carenza della meritevolezza della tutela richiesta, a seguito di una valutazione in concreto del requisito causale, parametrato su una lettura costituzionalizzata della norma sull’interesse ad agire. La portata sistematica riconosciuta alla nozione di causa, quale selettore di un’esigenza primaria dell’ordinamento giuridico, apprezzabile non solo sul piano sostanziale, ma anche processuale, quella appunto della meritevolezza, ha consentito di considerarla requisito autonomo anche degli atti processuali, ed in particolare della domanda giudiziale, ma non assorbita dalla nozione di interesse ad agire. La matrice normativa di tale requisito è pur sempre l’art. 100 c.p.c. – secondo un’interpretazione della norma conforme al dettato costituzionale ed in particolare all’art. 24 Cost. e all’art. 111 Cost. che ha dato espressione al cd. giusto processo – al quale deve essere riconosciuto uno spazio più ampio rispetto a quello che tradizionalmente gli si attribuisce nel dare un contenuto alla nozione di interesse ad agire. Esso, infatti, consente altresì di sottoporre a verifica la domanda giudiziale come concretamente formulata, per accertarne la presenza del requisito causale, sotto il profilo della meritevolezza della tutela richiesta. L’indagine giurisprudenziale ha rivelato che si tratta di controllo che i giudici, più o meno consapevolmente, effettuano riconducendolo spesso alla nozione di abuso del processo e in alcuni casi di abuso dell’azione giudiziale. Essa, inoltre, ha evidenziato come alcune delle fattispecie nelle quali la giurisprudenza ha fatto ricorso alla nozione di abuso dell’azione giudiziale siano state poi fatte oggetto di attenzione da parte del legislatore, a dimostrazione di come la stessa realtà processuale consenta di far emergere nuove situazioni che necessitano di essere regolate. Si è così potuto constatare che l’ordinamento reagisce alla mutata sensibilità ed alla rigidità delle norme consentendo, da un lato, al giudice del caso concreto di non dare tutela ad una richiesta che non appaia meritevole, e dall’altro, facendo tesoro dell’esperienza maturata sul fronte applicativo, intervenendo sul piano della normazione generale con l’imporre un divieto alla possibilità di agire in giudizio. Dunque, la linea di tendenza delle soluzioni normative adottate per far fronte al problema dell’abuso dell’azione giudiziale sembra collocare le stesse sul piano sistematico nella categoria delle condizioni dell’azione, se è vero che nello stesso linguaggio del legislatore, che si esprime in termini di divieto pare scorgersi l’eco di quella condizione indicata come possibilità giuridica. Essa acquista nuova rilevanza, ma non deve essere intesa quale esistenza di una norma che in astratto preveda il diritto che si vuole far valere, ma quale assenza di un espresso divieto di esercizio dell’azione giudiziale. Dunque, sia in presenza di tale divieto, sia nel caso in cui la tutela richiesta non risulti meritevole, il giudice dovrà rifiutare un giudizio sul merito, limitandosi a dichiarare inammissibile la domanda. Il requisito causale opera, quindi, sullo stesso piano delle condizioni dell’azione, ponendosi quale ulteriore elemento – accanto all’interesse ad agire, alla legittimazione ad agire ed alla possibilità giuridica – la cui assenza comporta carenza di azione. L’assenza del requisito causale, come della stessa possibilità giuridica, potrà essere rilevata anche d’ufficio, in ogni stato e grado del procedimento. La soluzione prospettata è sembrata proprio per questo suo collocarsi sul piano del rito, preferibile all’utilizzo della diversa nozione di abuso dell’azione giudiziale, che porta al ben più grave rigetto nel merito della domanda formulata. Né si è ritenuto che possa preoccupare il fatto che si attribuisca al giudice un compito così delicato, perché da un lato non si può dimenticare che egli è in qualche modo il legislatore del caso concreto, è colui grazie al quale la norma generale ed astratta attraverso la valutazione di quel preciso accadimento storico, e dunque nel contesto fattuale narrato, si fa possibile giustizia del caso concreto; d’all’altro si è considerato che proprio riconoscendo alla decisione giudiziale una valenza puramente processuale si evita, nel caso di valutazione negativa sulla sussistenza della meritevolezza della tutela richiesta, di attribuire al giudice scelte che spettano in ultima istanza al legislatore.
La meritevolezza della tutela richiesta. Contributo allo studio sull'abuso dell'azione giudiziale
GHIRGA, MARIA FRANCESCA
2004-01-01
Abstract
Si tratta di un lavoro monografico che si inserisce nel solco degli studi sul fenomeno dell’abuso. In particolare con essa si è voluto offrire un contributo allo studio di una delle fattispecie abusive che si possono riscontrare in sede processuale, quella dell’abuso dell’azione. La tesi sviluppata è che tale abuso dell’azione possa portare al rigetto per carenza della meritevolezza della tutela richiesta, a seguito di una valutazione in concreto del requisito causale, parametrato su una lettura costituzionalizzata della norma sull’interesse ad agire. La portata sistematica riconosciuta alla nozione di causa, quale selettore di un’esigenza primaria dell’ordinamento giuridico, apprezzabile non solo sul piano sostanziale, ma anche processuale, quella appunto della meritevolezza, ha consentito di considerarla requisito autonomo anche degli atti processuali, ed in particolare della domanda giudiziale, ma non assorbita dalla nozione di interesse ad agire. La matrice normativa di tale requisito è pur sempre l’art. 100 c.p.c. – secondo un’interpretazione della norma conforme al dettato costituzionale ed in particolare all’art. 24 Cost. e all’art. 111 Cost. che ha dato espressione al cd. giusto processo – al quale deve essere riconosciuto uno spazio più ampio rispetto a quello che tradizionalmente gli si attribuisce nel dare un contenuto alla nozione di interesse ad agire. Esso, infatti, consente altresì di sottoporre a verifica la domanda giudiziale come concretamente formulata, per accertarne la presenza del requisito causale, sotto il profilo della meritevolezza della tutela richiesta. L’indagine giurisprudenziale ha rivelato che si tratta di controllo che i giudici, più o meno consapevolmente, effettuano riconducendolo spesso alla nozione di abuso del processo e in alcuni casi di abuso dell’azione giudiziale. Essa, inoltre, ha evidenziato come alcune delle fattispecie nelle quali la giurisprudenza ha fatto ricorso alla nozione di abuso dell’azione giudiziale siano state poi fatte oggetto di attenzione da parte del legislatore, a dimostrazione di come la stessa realtà processuale consenta di far emergere nuove situazioni che necessitano di essere regolate. Si è così potuto constatare che l’ordinamento reagisce alla mutata sensibilità ed alla rigidità delle norme consentendo, da un lato, al giudice del caso concreto di non dare tutela ad una richiesta che non appaia meritevole, e dall’altro, facendo tesoro dell’esperienza maturata sul fronte applicativo, intervenendo sul piano della normazione generale con l’imporre un divieto alla possibilità di agire in giudizio. Dunque, la linea di tendenza delle soluzioni normative adottate per far fronte al problema dell’abuso dell’azione giudiziale sembra collocare le stesse sul piano sistematico nella categoria delle condizioni dell’azione, se è vero che nello stesso linguaggio del legislatore, che si esprime in termini di divieto pare scorgersi l’eco di quella condizione indicata come possibilità giuridica. Essa acquista nuova rilevanza, ma non deve essere intesa quale esistenza di una norma che in astratto preveda il diritto che si vuole far valere, ma quale assenza di un espresso divieto di esercizio dell’azione giudiziale. Dunque, sia in presenza di tale divieto, sia nel caso in cui la tutela richiesta non risulti meritevole, il giudice dovrà rifiutare un giudizio sul merito, limitandosi a dichiarare inammissibile la domanda. Il requisito causale opera, quindi, sullo stesso piano delle condizioni dell’azione, ponendosi quale ulteriore elemento – accanto all’interesse ad agire, alla legittimazione ad agire ed alla possibilità giuridica – la cui assenza comporta carenza di azione. L’assenza del requisito causale, come della stessa possibilità giuridica, potrà essere rilevata anche d’ufficio, in ogni stato e grado del procedimento. La soluzione prospettata è sembrata proprio per questo suo collocarsi sul piano del rito, preferibile all’utilizzo della diversa nozione di abuso dell’azione giudiziale, che porta al ben più grave rigetto nel merito della domanda formulata. Né si è ritenuto che possa preoccupare il fatto che si attribuisca al giudice un compito così delicato, perché da un lato non si può dimenticare che egli è in qualche modo il legislatore del caso concreto, è colui grazie al quale la norma generale ed astratta attraverso la valutazione di quel preciso accadimento storico, e dunque nel contesto fattuale narrato, si fa possibile giustizia del caso concreto; d’all’altro si è considerato che proprio riconoscendo alla decisione giudiziale una valenza puramente processuale si evita, nel caso di valutazione negativa sulla sussistenza della meritevolezza della tutela richiesta, di attribuire al giudice scelte che spettano in ultima istanza al legislatore.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.