Il saggio, pubblicato in uno dei volumi editi da Il Mulino e dedicati alla storia dell’avvocatura, è incentrato sulla figura (finora trascurata, ma tutt’altro che insignificante) del penalista milanese Bassano Gabba (1844-1928), fratello del più noto Carlo Francesco, eminente civilista professore a Pisa. Già negli anni giovanili, di ritorno dal soggiorno di studio a Heidelberg e a Lipsia, rese nota in Italia la teoria penalistica sostenuta da Krause e Röder (in contrasto con Feuerbach e Carrara) e fondata sull’assunto che scopo della pena sia prima di tutto la rieducazione del condannato. Negli anni maturi, alla professione, esercitata con successo, egli affiancò una crescente partecipazione politica (deputato in due legislature e senatore dal 1924) nonché una attiva presenza nell’amministrazione civica di Milano. Il suo pensiero giuridico è desumibile da numerosi scritti, prevalentemente dedicati a questioni di diritto pubblico. Tra questi, si segnala, in particolare, il saggio sui decreti d’urgenza, dei quali si discuteva l’applicabilità in giudizio prima della eventuale loro conversione ad opera del parlamento: Gabba rivendica con forza il potere del giudice di dichiararne l’inefficacia, in modo da frenare gli arbitrî del governo e salvaguardare la sovranità legislativa del parlamento. Notevole è poi il volume intitolato Trent’anni di legislazione sociale (1901), un’analisi giuridica e sociale condotta secondo una prospettiva comparatistica, dalla quale emerge un’impostazione che coniuga le ragioni del liberismo economico con quelle dell’equità sociale, in un’epoca nella quale le due istanze sembravano (ed erano di fatto) in netto contrasto sul piano intellettuale come sul piano politico: l’autore, che pure era politicamente schierato tra i conservatori, propugna con molta convinzione una serie di riforme sociali che migliorino la condizione operaia sia nei rapporti di lavoro, sia nelle previdenze complementari, lamentando il forte ritardo dell’Italia su questi fronti rispetto alle valide esperienze straniere da lui esaminate. Altri temi affrontati sono quelli dell’obbligatorietà del voto politico per combattere l’assenteismo, della riforma giudiziaria (in favore, tra l’altro, del giudice unico di primo grado e del sistema della terza istanza in luogo della cassazione), della libertà di insegnamento e dei rapporti tra Stato e Chiesa, con punte di accesa polemica antipapale ed anti-ecclesiastica, con critiche rivolte anche all’enciclica Rerum novarum. In conclusione, dalla ricerca emerge una personalità interessante che vive attivamente i problemi del suo tempo, unendo un acuto spirito di osservazione ad una straordinaria ricchezza di idee suscettibile di sviluppi in varie direzioni.
Diritto, moderazione e dignità umana nel pensiero dell'avvocato milanese Bassano Gabba
DANUSSO, CRISTINA
2009-01-01
Abstract
Il saggio, pubblicato in uno dei volumi editi da Il Mulino e dedicati alla storia dell’avvocatura, è incentrato sulla figura (finora trascurata, ma tutt’altro che insignificante) del penalista milanese Bassano Gabba (1844-1928), fratello del più noto Carlo Francesco, eminente civilista professore a Pisa. Già negli anni giovanili, di ritorno dal soggiorno di studio a Heidelberg e a Lipsia, rese nota in Italia la teoria penalistica sostenuta da Krause e Röder (in contrasto con Feuerbach e Carrara) e fondata sull’assunto che scopo della pena sia prima di tutto la rieducazione del condannato. Negli anni maturi, alla professione, esercitata con successo, egli affiancò una crescente partecipazione politica (deputato in due legislature e senatore dal 1924) nonché una attiva presenza nell’amministrazione civica di Milano. Il suo pensiero giuridico è desumibile da numerosi scritti, prevalentemente dedicati a questioni di diritto pubblico. Tra questi, si segnala, in particolare, il saggio sui decreti d’urgenza, dei quali si discuteva l’applicabilità in giudizio prima della eventuale loro conversione ad opera del parlamento: Gabba rivendica con forza il potere del giudice di dichiararne l’inefficacia, in modo da frenare gli arbitrî del governo e salvaguardare la sovranità legislativa del parlamento. Notevole è poi il volume intitolato Trent’anni di legislazione sociale (1901), un’analisi giuridica e sociale condotta secondo una prospettiva comparatistica, dalla quale emerge un’impostazione che coniuga le ragioni del liberismo economico con quelle dell’equità sociale, in un’epoca nella quale le due istanze sembravano (ed erano di fatto) in netto contrasto sul piano intellettuale come sul piano politico: l’autore, che pure era politicamente schierato tra i conservatori, propugna con molta convinzione una serie di riforme sociali che migliorino la condizione operaia sia nei rapporti di lavoro, sia nelle previdenze complementari, lamentando il forte ritardo dell’Italia su questi fronti rispetto alle valide esperienze straniere da lui esaminate. Altri temi affrontati sono quelli dell’obbligatorietà del voto politico per combattere l’assenteismo, della riforma giudiziaria (in favore, tra l’altro, del giudice unico di primo grado e del sistema della terza istanza in luogo della cassazione), della libertà di insegnamento e dei rapporti tra Stato e Chiesa, con punte di accesa polemica antipapale ed anti-ecclesiastica, con critiche rivolte anche all’enciclica Rerum novarum. In conclusione, dalla ricerca emerge una personalità interessante che vive attivamente i problemi del suo tempo, unendo un acuto spirito di osservazione ad una straordinaria ricchezza di idee suscettibile di sviluppi in varie direzioni.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.