Quando la vita volge al termine, ci si chiede cosa significhi una “buona morte”. La domanda acquista spessore e rilievo maggiore quando, con l’utilizzo di trattamenti continuamente più sofisticati, si protrae la sopravvivenza a fronte però di sofferenze e di oneri via via sempre più gravi. Sorge quindi spontaneamente la domanda: “Fino a quando”? Interrogativo che coinvolge e chiama in causa i diversi soggetti implicati nel processo di cura - il paziente, i suoi familiari, l’equipe curante – e che assume un prioritario profilo morale, senza dimenticare i riflessi di ordine deontologico e giuridico ad esso connessi. Il quesito “Fino a quando” allude alla valutazione della possibilità di rinunciare a un trattamento attraverso il rifiuto ad iniziarlo o la sua sospensione. L’azione omissiva ordinariamente concorre, anche se non in via esclusiva, ad abbreviare la vita di una persona. Tale atto può essere considerato eutanasico, ossia manifesta la volontà di porre fine alla vita di una persona? Se vi è una condivisione sull’affermazione generale che non ogni atto di rinuncia configura un’azione eutanasica, aperto è il dibattito sui criteri che consentono la distinzione fra i due gesti, rendendo l’uno moralmente e giuridicamente accettabile, l’altro riprovevole e da perseguire penalmente. Questa appare essere oggi la questione seria, sia eticamente che giuridicamente, intorno alle problematiche legate alle fasi finali della vita. Ciò per una serie di ragioni. La prima è da rintracciare nella proibizione, presente in quasi tutti i paesi del mondo, sia sotto il profilo giuridico che deontologico, dell’eutanasia. Questo riflette necessariamente la comune sensibilità dei popoli rispetto a tale tematica e al valore della vita umana. In discussione quindi non è il riconoscimento dell’eutanasia, o la sua depenalizzazione, ma piuttosto la legittimità della rinuncia ai trattamenti in condizioni di malattia incurabile, in fase avanzata. Ancora, non è possibile demandare la soluzione di ogni caso di rinuncia ad una norma; essa ha un profilo generale ed esige una sua interpretazione in riferimento alle singole circostanze. Non potendosi definire a priori quando la rinuncia sia accettabile, diventa necessario dare proporzionato rilievo ai singoli casi, alle differenti storie che li caratterizzano per poter dare pertinente risposta al quesito. Ciò senza comportare l’accettazione acritica di ogni scelta, ma altresì riconoscendo il ruolo che le vicende personali hanno nell’identificazione della soluzione buona. Infine, poiché non ogni sospensione comporta un atto eutanasico, ma vi possono essere casi in cui l’atto omissivo si configura quale vero e proprio atto eutanasico, occorre riconoscere che ci si può trovare in aree di confine, zone grigie che richiedono un’attenta e specifica riflessione. Queste situazioni non possono essere derubricate ad eccezioni, e perciò non interessanti il dibattito più generale sui temi di fine vita. Ciò per due ordini di motivi: da una parte cresce il numero di questi casi, dall’altra la riflessione su di essi consente di comprendere meglio la norma generale. L’obiettivo del volume è quindi quello di proporre una criteriologia, delineata a partire dall’analisi di casi tratti dalla realtà, per definire l’accettabilità etica della rinuncia ai trattamenti sanitari. Nell’analisi dei casi si illustra un metodo per affrontare i quesiti etici che si pongono al letto del malato.

Fino a quando? La rinuncia ai trattamenti sanitari

PICOZZI, MARIO;
2012-01-01

Abstract

Quando la vita volge al termine, ci si chiede cosa significhi una “buona morte”. La domanda acquista spessore e rilievo maggiore quando, con l’utilizzo di trattamenti continuamente più sofisticati, si protrae la sopravvivenza a fronte però di sofferenze e di oneri via via sempre più gravi. Sorge quindi spontaneamente la domanda: “Fino a quando”? Interrogativo che coinvolge e chiama in causa i diversi soggetti implicati nel processo di cura - il paziente, i suoi familiari, l’equipe curante – e che assume un prioritario profilo morale, senza dimenticare i riflessi di ordine deontologico e giuridico ad esso connessi. Il quesito “Fino a quando” allude alla valutazione della possibilità di rinunciare a un trattamento attraverso il rifiuto ad iniziarlo o la sua sospensione. L’azione omissiva ordinariamente concorre, anche se non in via esclusiva, ad abbreviare la vita di una persona. Tale atto può essere considerato eutanasico, ossia manifesta la volontà di porre fine alla vita di una persona? Se vi è una condivisione sull’affermazione generale che non ogni atto di rinuncia configura un’azione eutanasica, aperto è il dibattito sui criteri che consentono la distinzione fra i due gesti, rendendo l’uno moralmente e giuridicamente accettabile, l’altro riprovevole e da perseguire penalmente. Questa appare essere oggi la questione seria, sia eticamente che giuridicamente, intorno alle problematiche legate alle fasi finali della vita. Ciò per una serie di ragioni. La prima è da rintracciare nella proibizione, presente in quasi tutti i paesi del mondo, sia sotto il profilo giuridico che deontologico, dell’eutanasia. Questo riflette necessariamente la comune sensibilità dei popoli rispetto a tale tematica e al valore della vita umana. In discussione quindi non è il riconoscimento dell’eutanasia, o la sua depenalizzazione, ma piuttosto la legittimità della rinuncia ai trattamenti in condizioni di malattia incurabile, in fase avanzata. Ancora, non è possibile demandare la soluzione di ogni caso di rinuncia ad una norma; essa ha un profilo generale ed esige una sua interpretazione in riferimento alle singole circostanze. Non potendosi definire a priori quando la rinuncia sia accettabile, diventa necessario dare proporzionato rilievo ai singoli casi, alle differenti storie che li caratterizzano per poter dare pertinente risposta al quesito. Ciò senza comportare l’accettazione acritica di ogni scelta, ma altresì riconoscendo il ruolo che le vicende personali hanno nell’identificazione della soluzione buona. Infine, poiché non ogni sospensione comporta un atto eutanasico, ma vi possono essere casi in cui l’atto omissivo si configura quale vero e proprio atto eutanasico, occorre riconoscere che ci si può trovare in aree di confine, zone grigie che richiedono un’attenta e specifica riflessione. Queste situazioni non possono essere derubricate ad eccezioni, e perciò non interessanti il dibattito più generale sui temi di fine vita. Ciò per due ordini di motivi: da una parte cresce il numero di questi casi, dall’altra la riflessione su di essi consente di comprendere meglio la norma generale. L’obiettivo del volume è quindi quello di proporre una criteriologia, delineata a partire dall’analisi di casi tratti dalla realtà, per definire l’accettabilità etica della rinuncia ai trattamenti sanitari. Nell’analisi dei casi si illustra un metodo per affrontare i quesiti etici che si pongono al letto del malato.
2012
9788821572661
Picozzi, Mario; Consolandi, V.; Siano, S.
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