Attraverso l’opera in esame si intende mettere in luce (anche attraverso l’esame dell’esperienza comparata, in particolare, inglese e statunitense) il fenomeno dell’ingerenza nella gestione delle società di capitali, con specifico riferimento al profilo della responsabilità di chi si ingerisce e degli stessi amministratori che in vario modo abbiano favorito l’ingerenza con pregiudizio per la società. Nella parte introduttiva, si riporta pertanto un’esemplificazione delle molteplici forme di ingerenza (di soci e non soci) riscontrabili nella prassi, talune meramente fattuali, altre, invece, fondate su una specifica previsione (contrattuale o statutaria) in tal senso. In taluni casi, è lo stesso legislatore che, in base ad una considerazione di meritevolezza o di mera opportunità rispetto a determinate ipotesi di ingerenza nella gestione, ne ammette (se non addirittura incentiva) l’esercizio: così è per i “particolari” diritti o le competenze in materia gestoria riconosciuti ai soci di s.rl., ovvero, per la “attività” di direzione e coordinamento di cui agli artt. 2497 s.s., c.c., nonché - come desumibile dalla stessa riforma fallimentare- per il caso del creditore (cd. “forte”) che prenda parte alla gestione dell’impresa in crisi. In tale prospettiva, è allora da chiedersi se gli strumenti previsti dall’ordinamento per far fronte agli abusi da “eterogestione” siano adeguati, non solo in quanto tali, ma anche rispetto all’esigenza di mediare le ragioni punitive e di deterrenza- legate ad un esercizio pregiudizievole delle stesse- con l’intento di favorire (o comunque non inutilmente disincentivare) tali condotte. Non si potrà allora prescindere dall’esaminare, sia singolarmente che congiuntamente tra loro, la disciplina applicabili alla tradizionale figura dell’amministratore di fatto, nonché le responsabilità per “atti” e per “attività” di cui agli artt. 2476, comma 7, e 2497 c.c. Solo all’esito di tale indagine, sarà possibile verificare se queste ultime previsioni, in ragione della relativa ratio e dei rispettivi presupposti applicativi, possano fondare modelli di disciplina di carattere più generale, per colpire ulteriori “atti” o “attività” di ingerenza non riconducibili ad alcuna specifica normativa.

Le ingerenze nella gestione delle società di capitali tra "atti" e "attività". Profili in tema di responsabilità.

CODAZZI, ELISABETTA
2012-01-01

Abstract

Attraverso l’opera in esame si intende mettere in luce (anche attraverso l’esame dell’esperienza comparata, in particolare, inglese e statunitense) il fenomeno dell’ingerenza nella gestione delle società di capitali, con specifico riferimento al profilo della responsabilità di chi si ingerisce e degli stessi amministratori che in vario modo abbiano favorito l’ingerenza con pregiudizio per la società. Nella parte introduttiva, si riporta pertanto un’esemplificazione delle molteplici forme di ingerenza (di soci e non soci) riscontrabili nella prassi, talune meramente fattuali, altre, invece, fondate su una specifica previsione (contrattuale o statutaria) in tal senso. In taluni casi, è lo stesso legislatore che, in base ad una considerazione di meritevolezza o di mera opportunità rispetto a determinate ipotesi di ingerenza nella gestione, ne ammette (se non addirittura incentiva) l’esercizio: così è per i “particolari” diritti o le competenze in materia gestoria riconosciuti ai soci di s.rl., ovvero, per la “attività” di direzione e coordinamento di cui agli artt. 2497 s.s., c.c., nonché - come desumibile dalla stessa riforma fallimentare- per il caso del creditore (cd. “forte”) che prenda parte alla gestione dell’impresa in crisi. In tale prospettiva, è allora da chiedersi se gli strumenti previsti dall’ordinamento per far fronte agli abusi da “eterogestione” siano adeguati, non solo in quanto tali, ma anche rispetto all’esigenza di mediare le ragioni punitive e di deterrenza- legate ad un esercizio pregiudizievole delle stesse- con l’intento di favorire (o comunque non inutilmente disincentivare) tali condotte. Non si potrà allora prescindere dall’esaminare, sia singolarmente che congiuntamente tra loro, la disciplina applicabili alla tradizionale figura dell’amministratore di fatto, nonché le responsabilità per “atti” e per “attività” di cui agli artt. 2476, comma 7, e 2497 c.c. Solo all’esito di tale indagine, sarà possibile verificare se queste ultime previsioni, in ragione della relativa ratio e dei rispettivi presupposti applicativi, possano fondare modelli di disciplina di carattere più generale, per colpire ulteriori “atti” o “attività” di ingerenza non riconducibili ad alcuna specifica normativa.
2012
8814175055
Codazzi, Elisabetta
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