Il lavoro di ricerca si è rivolto in primo luogo all’analisi delle testimonianze più antiche, in grado di fornire utili indizi per formulare ipotesi sulle origini del precario. Si è posta attenzione alle attestazioni nell’opera di Plauto e di Terenzio, soffermandosi, in particolare, sull’Eunuchus, commedia nella quale si trova la prima testimonianza della clausula vitii, già nella sua interezza. Successivamente si sono passate al vaglio la prima fonte di carattere strettamente giuridico, la lex agraria epigrafica del 111 a.C. e le glosse festine possessio e patres. Dal momento che quasi tutte le fonti più antiche che citano il precario in modo certo, lo fanno all’interno della cosiddetta exceptio vitiosae possessionis, l’indagine si è soffermata sull’analisi degli autori che si sono occupati delle sue origini e, quindi, inevitabilmente, dell’origine degli interdetti. Al termine di ciò, si sono prese in considerazione le fonti epigrafiche, le quali non sono mai state oggetto di una capillare e approfondita disamina. Successivamente, ci si è dedicati alla ricerca della presenza e del significato dei vocaboli precario, precarium, precarius-a-um nelle fonti letterarie, mettendo in evidenza lo sviluppo semantico, avvenuto in particolare tra il II secolo a.C. ed il I secolo d.C., dei termini in oggetto. Tale sviluppo parrebbe testimoniare un rapporto diretto tra l’evolversi dell’uso dei termini nel linguaggio giuridico e quello nel linguaggio letterario, con probabili specifiche influenze del primo sul secondo. L’indagine è proseguita con l’esegesi di tutte le fonti giuridiche classiche (ovvero delle Institutiones di Gaio e dei frammenti raccolti nel Digesto), analizzandole sempre in ordine cronologico. Il riferimento al precario compare in una settantina di frammenti del Digesto, nei più vari contesti ed in relazione a differenti istituti. Si sono, quindi, presi in considerazione tutti i passi dei singoli giuristi che trattassero, anche incidentalmente, dell’istituto, a cominciare dall’unico frammento di Giavoleno che nomini la rogatio precaria, per giungere ai numerosi frammenti ulpianei, che costituiscono quasi la summa di tutti i temi affrontati in precedenza. Il metodo utilizzato è stato quello esegetico: ci si è adoperati a cogliere le varie sfaccettature delle fattispecie giuridiche proposte dai giuristi latini e, mettendo in luce le opinioni quasi sempre divergenti dei commentatori moderni, di offrire una possibile chiave di lettura dei passi, compatibile con un logico, seppur non rigido, sviluppo dell’utilizzo del precario. I contesti di applicazione dell’istituto, in epoca classica, furono decisamente vari ed eterogenei, anche relativamente ai passi pervenutici da uno stesso giurista: raramente un frammento appare di agevole interpretazione, in particolare in rapporto agli altri testi riguardanti lo stesso argomento. Spesso, al contrario, le fonti tramandano soluzioni tra loro contraddittorie che gli esegeti moderni, fino a pochi decenni or sono, attribuivano quasi interamente a rimaneggiamenti posteriori, postclassici o giustinianei. In tal modo, si voleva tentare di reperire, con logica sistematica, il motivo di tante apparentemente inspiegabili antinomie. La prospettiva dottrinale attuale ci impone di essere cauti nel formulare l’ipotesi della presenza di interpolazioni, pur facendo tesoro dei risultati raggiunti in passato. Per questa ragione, si è tentato di offrire chiavi di lettura alternative rispetto a quelle tradizionali, alle disarmonie presenti, notando che, a volte, esse si possono spiegare alla luce delle diverse opinioni dei giuristi; altre volte possono essere attribuite ad uno sviluppo dell’istituto. La maggior parte dei frammenti, prendendo in considerazione l’applicabilità dell’interdetto de precario (o meglio, quod precario), si rivolge a problemi di ordine processuale; tuttavia, spesso, questo è solo il punto di partenza per considerazioni, brevi ma illuminanti, di diritto sostanziale, come il rapporto con comodato, pegno, vendita, locazione, deposito. Ambiti di ricerca particolarmente ricchi di spunti si sono rivelati essere: il precarium ad tempus; il precarium suae rei; il rapporto tra pegno e precario; l’esistenza o meno dell’applicabilità di una actio civilis per la restituzione della cosa data a precario; la cosiddetta “successione nel precario”; la responsabilità del precarista. Temi centrali sono stati, poi, quelli tradizionalmente legati allo studio del precario, in particolare l’interrogativo se esso venga sempre configurato, in epoca classica, come possesso o, a volte, anche come detenzione. Si è concluso per questo che la realtà del precario doveva essere assai fluida, poco incline ad essere inquadrata in rigidi schemi sistematici e, anzi, abbastanza malleabile, anche in rapporto con gli istituti con cui interagiva, certamente ancora sufficientemente viva da subire sviluppi e modificazioni, da essere oggetto di attenta riflessione casistica e dogmatica (come nei notevoli passi paolini). Si è così, poco a poco, offerto alla ricerca il quadro di un istituto ritenuto forse, in epoca classica, meno marginale di quanto alcuni autori moderni avessero voluto credere.

Ricerche sul "precarium"

BIAVASCHI, PAOLA
2006-01-01

Abstract

Il lavoro di ricerca si è rivolto in primo luogo all’analisi delle testimonianze più antiche, in grado di fornire utili indizi per formulare ipotesi sulle origini del precario. Si è posta attenzione alle attestazioni nell’opera di Plauto e di Terenzio, soffermandosi, in particolare, sull’Eunuchus, commedia nella quale si trova la prima testimonianza della clausula vitii, già nella sua interezza. Successivamente si sono passate al vaglio la prima fonte di carattere strettamente giuridico, la lex agraria epigrafica del 111 a.C. e le glosse festine possessio e patres. Dal momento che quasi tutte le fonti più antiche che citano il precario in modo certo, lo fanno all’interno della cosiddetta exceptio vitiosae possessionis, l’indagine si è soffermata sull’analisi degli autori che si sono occupati delle sue origini e, quindi, inevitabilmente, dell’origine degli interdetti. Al termine di ciò, si sono prese in considerazione le fonti epigrafiche, le quali non sono mai state oggetto di una capillare e approfondita disamina. Successivamente, ci si è dedicati alla ricerca della presenza e del significato dei vocaboli precario, precarium, precarius-a-um nelle fonti letterarie, mettendo in evidenza lo sviluppo semantico, avvenuto in particolare tra il II secolo a.C. ed il I secolo d.C., dei termini in oggetto. Tale sviluppo parrebbe testimoniare un rapporto diretto tra l’evolversi dell’uso dei termini nel linguaggio giuridico e quello nel linguaggio letterario, con probabili specifiche influenze del primo sul secondo. L’indagine è proseguita con l’esegesi di tutte le fonti giuridiche classiche (ovvero delle Institutiones di Gaio e dei frammenti raccolti nel Digesto), analizzandole sempre in ordine cronologico. Il riferimento al precario compare in una settantina di frammenti del Digesto, nei più vari contesti ed in relazione a differenti istituti. Si sono, quindi, presi in considerazione tutti i passi dei singoli giuristi che trattassero, anche incidentalmente, dell’istituto, a cominciare dall’unico frammento di Giavoleno che nomini la rogatio precaria, per giungere ai numerosi frammenti ulpianei, che costituiscono quasi la summa di tutti i temi affrontati in precedenza. Il metodo utilizzato è stato quello esegetico: ci si è adoperati a cogliere le varie sfaccettature delle fattispecie giuridiche proposte dai giuristi latini e, mettendo in luce le opinioni quasi sempre divergenti dei commentatori moderni, di offrire una possibile chiave di lettura dei passi, compatibile con un logico, seppur non rigido, sviluppo dell’utilizzo del precario. I contesti di applicazione dell’istituto, in epoca classica, furono decisamente vari ed eterogenei, anche relativamente ai passi pervenutici da uno stesso giurista: raramente un frammento appare di agevole interpretazione, in particolare in rapporto agli altri testi riguardanti lo stesso argomento. Spesso, al contrario, le fonti tramandano soluzioni tra loro contraddittorie che gli esegeti moderni, fino a pochi decenni or sono, attribuivano quasi interamente a rimaneggiamenti posteriori, postclassici o giustinianei. In tal modo, si voleva tentare di reperire, con logica sistematica, il motivo di tante apparentemente inspiegabili antinomie. La prospettiva dottrinale attuale ci impone di essere cauti nel formulare l’ipotesi della presenza di interpolazioni, pur facendo tesoro dei risultati raggiunti in passato. Per questa ragione, si è tentato di offrire chiavi di lettura alternative rispetto a quelle tradizionali, alle disarmonie presenti, notando che, a volte, esse si possono spiegare alla luce delle diverse opinioni dei giuristi; altre volte possono essere attribuite ad uno sviluppo dell’istituto. La maggior parte dei frammenti, prendendo in considerazione l’applicabilità dell’interdetto de precario (o meglio, quod precario), si rivolge a problemi di ordine processuale; tuttavia, spesso, questo è solo il punto di partenza per considerazioni, brevi ma illuminanti, di diritto sostanziale, come il rapporto con comodato, pegno, vendita, locazione, deposito. Ambiti di ricerca particolarmente ricchi di spunti si sono rivelati essere: il precarium ad tempus; il precarium suae rei; il rapporto tra pegno e precario; l’esistenza o meno dell’applicabilità di una actio civilis per la restituzione della cosa data a precario; la cosiddetta “successione nel precario”; la responsabilità del precarista. Temi centrali sono stati, poi, quelli tradizionalmente legati allo studio del precario, in particolare l’interrogativo se esso venga sempre configurato, in epoca classica, come possesso o, a volte, anche come detenzione. Si è concluso per questo che la realtà del precario doveva essere assai fluida, poco incline ad essere inquadrata in rigidi schemi sistematici e, anzi, abbastanza malleabile, anche in rapporto con gli istituti con cui interagiva, certamente ancora sufficientemente viva da subire sviluppi e modificazioni, da essere oggetto di attenta riflessione casistica e dogmatica (come nei notevoli passi paolini). Si è così, poco a poco, offerto alla ricerca il quadro di un istituto ritenuto forse, in epoca classica, meno marginale di quanto alcuni autori moderni avessero voluto credere.
2006
88-14-12163-X
Biavaschi, Paola
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11383/2044730
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