Tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta del secolo scorso, in ritardo rispetto ad altri Paesi occidentali, l’Italia vede finalmente emergere una memoria postcoloniale in letteratura e nel dibattito culturale, grazie a scrittori e intellettuali italiani e delle ex colonie. Prima di allora la memoria del colonialismo italiano era rimasta sullo sfondo dei discorsi politici e della riflessione pubblica, tanto che si parla di rimozione o cancellazione della storia coloniale. In realtà negli anni Cinquanta e Sessanta si sviluppa una ragguardevole produzione di film coloniali, che tuttavia tende a perpetrare l’idea di un “colonialismo buono”, in cui lo spazio dedicato alla descrizione del nemico (africano, tedesco o inglese, in base al periodo storico rievocato) è limitato o funzionale alla sottolineatura dell’eroismo nazionale. Tra le pieghe di una produzione retorica e spesso storicamente inesatta, emergono tuttavia film che affrontano il tema in maniera diversa, subendo, forse proprio per questo, un ostracismo produttivo e distributivo che è indicatore, a sua volta, di un processo tutt’altro che pacificato di (ri)costruzione memoriale e identitaria. Gli studi mediali, inoltre, soprattutto i più recenti, mettono in evidenza come, se effettivamente il tema del colonialismo non sia tuttora preponderante nella produzione filmica nazionale, siano visibili rimandi a quell’esperienza e all’ideologia a essa sottesa. Si potrebbe allora parlare di “risignificazione” per identificare la riscrittura di stereotipi radicati nelle coscienze degli italiani e inerenti il passato, pensando all’esperienza coloniale come a un archivio, a un serbatoio dal quale attingere, in maniera più o meno conscia, temi, pratiche, immagini. È in quest’ottica che, per esempio, si sono letti i riferimenti al colonialismo fascista in film d’autore come "L’eclisse" (Michelangelo Antonioni, 1962), il retaggio coloniale nella raffigurazione della donna nera nel cinema italiano (erotico soprattutto) degli anni Settanta, nonché, più recentemente, la perpetuazione di logiche di superiorità/subalternità in opere che rappresentano in forma stereotipata il migrante africano. Alla luce di questo quadro, il saggio indaga la funzione del cinema nei processi di rielaborazione memoriale dell’esperienza coloniale italiana e di costruzione dell’identità post-coloniale: da un lato, prendendo in considerazione film “scomodi” che hanno tentato di raccontare il colonialismo italiano al di fuori della retorica dominante ( "Violenza segreta", Giorgio Moser, 1963, e "Tempo di uccidere", Giuliano Montaldo, 1989) e, dall’altro, rintracciare le “irruzioni fantasma”, entro il tessuto narrativo di alcuni esempi significativi del cinema contemporaneo, di personaggi e situazioni che sembrano alludere alla nostra storia coloniale e ai processi di rielaborazione memoriale di cui è stata oggetto.
Rovine e macerie. Permanenze e rimozioni dell’identità coloniale nel cinema italiano dal secondo dopoguerra alle migrazioni contemporanee
Piredda, M. F.
2019-01-01
Abstract
Tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta del secolo scorso, in ritardo rispetto ad altri Paesi occidentali, l’Italia vede finalmente emergere una memoria postcoloniale in letteratura e nel dibattito culturale, grazie a scrittori e intellettuali italiani e delle ex colonie. Prima di allora la memoria del colonialismo italiano era rimasta sullo sfondo dei discorsi politici e della riflessione pubblica, tanto che si parla di rimozione o cancellazione della storia coloniale. In realtà negli anni Cinquanta e Sessanta si sviluppa una ragguardevole produzione di film coloniali, che tuttavia tende a perpetrare l’idea di un “colonialismo buono”, in cui lo spazio dedicato alla descrizione del nemico (africano, tedesco o inglese, in base al periodo storico rievocato) è limitato o funzionale alla sottolineatura dell’eroismo nazionale. Tra le pieghe di una produzione retorica e spesso storicamente inesatta, emergono tuttavia film che affrontano il tema in maniera diversa, subendo, forse proprio per questo, un ostracismo produttivo e distributivo che è indicatore, a sua volta, di un processo tutt’altro che pacificato di (ri)costruzione memoriale e identitaria. Gli studi mediali, inoltre, soprattutto i più recenti, mettono in evidenza come, se effettivamente il tema del colonialismo non sia tuttora preponderante nella produzione filmica nazionale, siano visibili rimandi a quell’esperienza e all’ideologia a essa sottesa. Si potrebbe allora parlare di “risignificazione” per identificare la riscrittura di stereotipi radicati nelle coscienze degli italiani e inerenti il passato, pensando all’esperienza coloniale come a un archivio, a un serbatoio dal quale attingere, in maniera più o meno conscia, temi, pratiche, immagini. È in quest’ottica che, per esempio, si sono letti i riferimenti al colonialismo fascista in film d’autore come "L’eclisse" (Michelangelo Antonioni, 1962), il retaggio coloniale nella raffigurazione della donna nera nel cinema italiano (erotico soprattutto) degli anni Settanta, nonché, più recentemente, la perpetuazione di logiche di superiorità/subalternità in opere che rappresentano in forma stereotipata il migrante africano. Alla luce di questo quadro, il saggio indaga la funzione del cinema nei processi di rielaborazione memoriale dell’esperienza coloniale italiana e di costruzione dell’identità post-coloniale: da un lato, prendendo in considerazione film “scomodi” che hanno tentato di raccontare il colonialismo italiano al di fuori della retorica dominante ( "Violenza segreta", Giorgio Moser, 1963, e "Tempo di uccidere", Giuliano Montaldo, 1989) e, dall’altro, rintracciare le “irruzioni fantasma”, entro il tessuto narrativo di alcuni esempi significativi del cinema contemporaneo, di personaggi e situazioni che sembrano alludere alla nostra storia coloniale e ai processi di rielaborazione memoriale di cui è stata oggetto.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.