Lo stretto collegamento tra la garanzia tributata alla libertà di espressione e la vita democratica di un ordinamento rappresenta uno dei capisaldi che connotano lo Stato costituzionale, un profilo rimarcato più volte anche dal nostro giudice delle leggi quando ha definito la libertà di manifestazione del pensiero quale “pietra angolare” del regime democratico e il pluralismo dell’informazione come “condizione preliminare” per il consolidamento della vita democratica dell’ordinamento. Questi valori sono tuttavia sottoposti a forte tensione a seguito dell’evoluzione tecnologica della Rete. Con essa si è, infatti, assistito ad una rivoluzione rispetto all’assetto tradizionale dei media: non solo la diffusione del pensiero si è trasformata da quantitativamente limitata e circoscritta nel tempo e nello spazio in una comunicazione capillare, globale e permanente, ma soprattutto nel nuovo ambiente sono ormai le grandi piattaforme digitali a rappresentare i nuovi canali privilegiati per la espressione del pensiero individuale e collettivo. L’evoluzione tecnologica di Internet e la “piattaformizzazione della sfera pubblica” hanno dunque trasformato il tradizionale carattere bidimensionale della libertà di espressione (vista nel solo rapporto tra lo Stato e il cittadino), registrandosi nel mondo digitale la creazione di una relazione trilaterale a seguito dell’avvento delle piattaforme digitali quale terzo attore nella regolazione del discorso pubblico. Ciò a cui si sta assistendo negli ultimi anni, in un quadro in costante evoluzione, è dunque il progressivo consolidamento del potere privato di questi nuovi attori protagonisti della libertà di espressione su scala globale, sempre più in grado di influenzare il discorso pubblico grazie al loro potere di moderare i contenuti pubblicati online dagli utenti. È in questo scenario che si rivela assai utile una indagine comparata su come abbiano sin qui reagito le democrazie costituzionali di fronte all’esercizio del potere privato delle piattaforme digitali, capaci nel tempo di erigere un modello di governo della libertà di espressione pressoché autonomo rispetto al governo del potere pubblico connotato dalle garanzie costituzionali (come noto incentrate sul generale divieto di controlli preventivi sui contenuti, sulla riserva di legge nella definizione dei limiti e nell’individuazione dei criteri di bilanciamento con altri interessi di rilievo costituzionale e la riserva di giurisdizione nell’accertamento in concreto degli illeciti). In questo senso comparare l’approccio statunitense, patria del web, e l’approccio europeo nel governo della libertà di espressione in Rete ci consegna un chiaro esempio di iniziale convergenza negli approcci regolatori, cui tuttavia ha fatto seguito nell’assetto ormai maturo delle piattaforme digitali un netto rigetto sul continente europeo di quell’iniziale trapianto giuridico, consolidando da una parte all’altra dell’Atlantico visioni non più allineate dinanzi alle medesime sfide poste dalle tecnologie digitali. La nuova stagione regolatoria dell’Unione europea nella dimen¬sione virtuale aspira a plasmare la sfera pubblica digitale europea in linea con i valori europei. L’ambiente digitale registra, dunque, una linea di faglia sempre più netta tra due modelli regolatori net¬tamente divergenti, quello statunitense sin qui pervicacemente ancorato ad un assetto libertario e quello europeo che prova ad imbrigliare e limitare il potere delle piattaforme digitali private. Non mancano però alcuni interrogativi che a conclusione vengono sollevati.
La libertà di espressione nell'era delle piattaforme digitali: quando il trapianto di modelli giuridici fallisce
G. Tiberi
2024-01-01
Abstract
Lo stretto collegamento tra la garanzia tributata alla libertà di espressione e la vita democratica di un ordinamento rappresenta uno dei capisaldi che connotano lo Stato costituzionale, un profilo rimarcato più volte anche dal nostro giudice delle leggi quando ha definito la libertà di manifestazione del pensiero quale “pietra angolare” del regime democratico e il pluralismo dell’informazione come “condizione preliminare” per il consolidamento della vita democratica dell’ordinamento. Questi valori sono tuttavia sottoposti a forte tensione a seguito dell’evoluzione tecnologica della Rete. Con essa si è, infatti, assistito ad una rivoluzione rispetto all’assetto tradizionale dei media: non solo la diffusione del pensiero si è trasformata da quantitativamente limitata e circoscritta nel tempo e nello spazio in una comunicazione capillare, globale e permanente, ma soprattutto nel nuovo ambiente sono ormai le grandi piattaforme digitali a rappresentare i nuovi canali privilegiati per la espressione del pensiero individuale e collettivo. L’evoluzione tecnologica di Internet e la “piattaformizzazione della sfera pubblica” hanno dunque trasformato il tradizionale carattere bidimensionale della libertà di espressione (vista nel solo rapporto tra lo Stato e il cittadino), registrandosi nel mondo digitale la creazione di una relazione trilaterale a seguito dell’avvento delle piattaforme digitali quale terzo attore nella regolazione del discorso pubblico. Ciò a cui si sta assistendo negli ultimi anni, in un quadro in costante evoluzione, è dunque il progressivo consolidamento del potere privato di questi nuovi attori protagonisti della libertà di espressione su scala globale, sempre più in grado di influenzare il discorso pubblico grazie al loro potere di moderare i contenuti pubblicati online dagli utenti. È in questo scenario che si rivela assai utile una indagine comparata su come abbiano sin qui reagito le democrazie costituzionali di fronte all’esercizio del potere privato delle piattaforme digitali, capaci nel tempo di erigere un modello di governo della libertà di espressione pressoché autonomo rispetto al governo del potere pubblico connotato dalle garanzie costituzionali (come noto incentrate sul generale divieto di controlli preventivi sui contenuti, sulla riserva di legge nella definizione dei limiti e nell’individuazione dei criteri di bilanciamento con altri interessi di rilievo costituzionale e la riserva di giurisdizione nell’accertamento in concreto degli illeciti). In questo senso comparare l’approccio statunitense, patria del web, e l’approccio europeo nel governo della libertà di espressione in Rete ci consegna un chiaro esempio di iniziale convergenza negli approcci regolatori, cui tuttavia ha fatto seguito nell’assetto ormai maturo delle piattaforme digitali un netto rigetto sul continente europeo di quell’iniziale trapianto giuridico, consolidando da una parte all’altra dell’Atlantico visioni non più allineate dinanzi alle medesime sfide poste dalle tecnologie digitali. La nuova stagione regolatoria dell’Unione europea nella dimen¬sione virtuale aspira a plasmare la sfera pubblica digitale europea in linea con i valori europei. L’ambiente digitale registra, dunque, una linea di faglia sempre più netta tra due modelli regolatori net¬tamente divergenti, quello statunitense sin qui pervicacemente ancorato ad un assetto libertario e quello europeo che prova ad imbrigliare e limitare il potere delle piattaforme digitali private. Non mancano però alcuni interrogativi che a conclusione vengono sollevati.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.