Le riflessioni contenute nel presente lavoro sono atte a mostrare qualitativamente sia la relazione esistente tra la poesia (ed in via più generale la letteratura) e le materie più prettamente “pratiche” (ossia la politica, l’etica e il diritto) sia a comprendere le modalità attraverso le quali la letteratura, espressione artistica dell’immaginazione simbolica umana con la sua forma “autonoma” di pensiero “primario” ed “originario”, caratterizzato dal linguaggio metaforico, possa topicamente arricchire tali ambiti di azione permettendo contemporaneamente una visione più ampia e completa di essi e rendendo maggiormente consapevoli, i suoi osservatori, delle possibilità messe in campo. Aristotele, nella sua Poetica, evidenzia come un fattore fondamentale, insito nell’opera letteraria e in particolar modo nella tragedia, sarebbe dato dal cosiddetto “mito interno unificatore”, una qualità universale, archetipo rappresentativo costante nello spazio e nel tempo, di situazioni umane “ideal-tipiche” a cui ogni attore o spettatore possano sempre guardare, dapprima mediante l’imitazione “catartica” di passioni archetipiche (come la paura o la com-passione) e poi facendo tesoro dall’insegnamento che da dette passioni possa trarsi nelle specifiche esperienze di vita. In altri termini il mito fornirebbe al soggetto delle situazioni mitopoietiche “simboliche” ed “universali”, “verosimiglianti” e allo stesso tempo “fondative”e per questa via l’essere umano, animal symbolicum per natura e dunque non solo imitatore ma medesimamente creatore e “significatore” dei propri vissuti, sarebbe in condizione di ri-produrre poieticamente alcune situazioni nel suo specifico ambito “pratico”: un atto riproduttivo, allora, che muoverebbe sì dalla creazione artistica ma che sarebbe tuttavia sempre espressione mimetica della vita reale. In questo senso, la grandezza della poesia ed in via più generale della letteratura, sarebbe dunque quella di arricchire ed approfondire, con le loro peculiari caratteristiche, i pensieri filosofico-pratici umani e così gli stessi loro vissuti. Inoltre, la relazione tra la letteratura e la filosofia pratica creerebbe di fatto la ri-conciliazione tra il poeta e il filosofo andata perduta nel tempo. Il punto di rappacificazione e di sintesi delle due differenti visioni e letture del mondo sarebbe il ritrovamento e l’individuazione di quella condizione mentale o “coscienza liminare” umana dell’ “immaginale”, intesa come soglia di mediazione tra il razionale e l’irrazionale, il sentire intellettuale e il sentire emotivo, il conscio e l’inconscio. La tragedia e la letteratura, attraverso la narrazione di fatti verosimili, svelerebbero allora situazioni ideali che, sebbene vissute dai singoli personaggi descritti dallo scrittore, anelano all’universalità. Questi ultimi si presentano infatti come dei “tipi” umani che vivono drammaticamente una data situazione narrata nell’opera, suscitando appunto catarticamente, nel vissuto di chi li ascolta o li guarda a teatro, le passioni contraddittorie (come ad esempio quella della pietà e quella del terrore), dalle quali essi, vivendole direttamente con l’ascolto o con la visione, riescono a loro volta personalmente a liberarsi. Un incontro, quello della letteratura, che quindi “libera” anche colui che legge o ascolta e che lo rende, in prospettiva, attore: questo perché l’ars poetica contiene ed esprime sempre in sé un mito archetipico e, pur con specifiche tematiche e particolari situazioni rappresentate nelle singole opere, esprime le idee in esso contenute e, allo stesso tempo, mediante queste ultime, una morale, ossia un insegnamento “pratico”, che aspira ad essere universalmente valido. Il presente lavoro, che parte da queste premesse cognitive e da questi presupposti contestuali, si propone allora di individuare, attraverso cinque famosi esempi letterari del mondo antico, moderno e contemporaneo, ossia l’Antigone di Sofocle, L’Orestea di Eschilo, Il Mercante di Venezia di William Shakespeare, Il Grande Inquisitore di Fedor Dostoevskij e L’Avventura di un povero cristiano di Ignazio Silone, i nessi e gli aspetti filosofico-pratici della relazione tra “potere” e “coscienza”; un conflitto tragico che si pone emblematicamente, oltre che tra i soggetti della relazione del dramma, nel foro interiore di ciascun individuo, sia egli “attore” o semplicemente “spettatore” o “lettore” diretto o indiretto, del particolare “caso” preso in esame. Tali esempi saranno evidenziati all’interno di situazioni ideal-tipiche della condizione “tragica” umana “non negoziabili” e in relazione specifica al problema della giustizia, comunemente presente, pur se in diverso modo, sia nell’Antigone sia nell’Orestea, a quello dell’identità, presente nel Mercante di Venezia, a quello del male, presente nel Grande Inquisitore e a quello della libertà, presente ne L’avventura d’un povero cristiano. Il lavoro si suddivide in due capitoli. Nel primo i testi proposti saranno appunto analizzati comparativamente sotto le diverse suindicate problematiche entro il connubio tra potere e coscienza; nel secondo, essi saranno discussi nuovamente, per essere completati nella presentazione interpretativa, ricorrendo al concetto aristotelico di phrónesis, inteso quale sinonimo di saggezza, ragionevolezza, prudenza, ponderazione, giusta scelta e “giusto mezzo tra” e pensato quale possibile risoluzione “pratica”, soggettiva o relazionale, dei problemi etici singolarmente sollevati e discussi dai personaggi e “catarticamente” vissuti poi, in modo indiretto, dai lettori o dagli spettatori del singolo dramma. Uno studio dunque anche neo-riabilitativo sulla phrónesis che, per le sue caratteristiche costitutive, si porrà nelle vesti di una personale “traccia di proposta” risolutiva della conflittualità tra potere e coscienza e tra i principi fondativi contrastanti dei relazionanti e che, quale elaborazione simbolica universale, oggetto centrale dell’azione e del pensiero fattibile o solo possibile dei e tra i relazionanti (personaggi primari o secondari del dramma), verrà da noi suggerita come possibile condizione di “pensabilità mentale”, atta appunto a risolvere l’innegoziabilità delle posizioni ed il connubio “tragico” ed emblematico della possibile valutazione e del comportamento “pratico”, esteriore ed interiore all’individuo.

Tra potere e coscienza. La letteratura come luogo dell'azione "pratica" / Di Salvatore, Graziella. - (2013).

Tra potere e coscienza. La letteratura come luogo dell'azione "pratica".

Di Salvatore, Graziella
2013-01-01

Abstract

Le riflessioni contenute nel presente lavoro sono atte a mostrare qualitativamente sia la relazione esistente tra la poesia (ed in via più generale la letteratura) e le materie più prettamente “pratiche” (ossia la politica, l’etica e il diritto) sia a comprendere le modalità attraverso le quali la letteratura, espressione artistica dell’immaginazione simbolica umana con la sua forma “autonoma” di pensiero “primario” ed “originario”, caratterizzato dal linguaggio metaforico, possa topicamente arricchire tali ambiti di azione permettendo contemporaneamente una visione più ampia e completa di essi e rendendo maggiormente consapevoli, i suoi osservatori, delle possibilità messe in campo. Aristotele, nella sua Poetica, evidenzia come un fattore fondamentale, insito nell’opera letteraria e in particolar modo nella tragedia, sarebbe dato dal cosiddetto “mito interno unificatore”, una qualità universale, archetipo rappresentativo costante nello spazio e nel tempo, di situazioni umane “ideal-tipiche” a cui ogni attore o spettatore possano sempre guardare, dapprima mediante l’imitazione “catartica” di passioni archetipiche (come la paura o la com-passione) e poi facendo tesoro dall’insegnamento che da dette passioni possa trarsi nelle specifiche esperienze di vita. In altri termini il mito fornirebbe al soggetto delle situazioni mitopoietiche “simboliche” ed “universali”, “verosimiglianti” e allo stesso tempo “fondative”e per questa via l’essere umano, animal symbolicum per natura e dunque non solo imitatore ma medesimamente creatore e “significatore” dei propri vissuti, sarebbe in condizione di ri-produrre poieticamente alcune situazioni nel suo specifico ambito “pratico”: un atto riproduttivo, allora, che muoverebbe sì dalla creazione artistica ma che sarebbe tuttavia sempre espressione mimetica della vita reale. In questo senso, la grandezza della poesia ed in via più generale della letteratura, sarebbe dunque quella di arricchire ed approfondire, con le loro peculiari caratteristiche, i pensieri filosofico-pratici umani e così gli stessi loro vissuti. Inoltre, la relazione tra la letteratura e la filosofia pratica creerebbe di fatto la ri-conciliazione tra il poeta e il filosofo andata perduta nel tempo. Il punto di rappacificazione e di sintesi delle due differenti visioni e letture del mondo sarebbe il ritrovamento e l’individuazione di quella condizione mentale o “coscienza liminare” umana dell’ “immaginale”, intesa come soglia di mediazione tra il razionale e l’irrazionale, il sentire intellettuale e il sentire emotivo, il conscio e l’inconscio. La tragedia e la letteratura, attraverso la narrazione di fatti verosimili, svelerebbero allora situazioni ideali che, sebbene vissute dai singoli personaggi descritti dallo scrittore, anelano all’universalità. Questi ultimi si presentano infatti come dei “tipi” umani che vivono drammaticamente una data situazione narrata nell’opera, suscitando appunto catarticamente, nel vissuto di chi li ascolta o li guarda a teatro, le passioni contraddittorie (come ad esempio quella della pietà e quella del terrore), dalle quali essi, vivendole direttamente con l’ascolto o con la visione, riescono a loro volta personalmente a liberarsi. Un incontro, quello della letteratura, che quindi “libera” anche colui che legge o ascolta e che lo rende, in prospettiva, attore: questo perché l’ars poetica contiene ed esprime sempre in sé un mito archetipico e, pur con specifiche tematiche e particolari situazioni rappresentate nelle singole opere, esprime le idee in esso contenute e, allo stesso tempo, mediante queste ultime, una morale, ossia un insegnamento “pratico”, che aspira ad essere universalmente valido. Il presente lavoro, che parte da queste premesse cognitive e da questi presupposti contestuali, si propone allora di individuare, attraverso cinque famosi esempi letterari del mondo antico, moderno e contemporaneo, ossia l’Antigone di Sofocle, L’Orestea di Eschilo, Il Mercante di Venezia di William Shakespeare, Il Grande Inquisitore di Fedor Dostoevskij e L’Avventura di un povero cristiano di Ignazio Silone, i nessi e gli aspetti filosofico-pratici della relazione tra “potere” e “coscienza”; un conflitto tragico che si pone emblematicamente, oltre che tra i soggetti della relazione del dramma, nel foro interiore di ciascun individuo, sia egli “attore” o semplicemente “spettatore” o “lettore” diretto o indiretto, del particolare “caso” preso in esame. Tali esempi saranno evidenziati all’interno di situazioni ideal-tipiche della condizione “tragica” umana “non negoziabili” e in relazione specifica al problema della giustizia, comunemente presente, pur se in diverso modo, sia nell’Antigone sia nell’Orestea, a quello dell’identità, presente nel Mercante di Venezia, a quello del male, presente nel Grande Inquisitore e a quello della libertà, presente ne L’avventura d’un povero cristiano. Il lavoro si suddivide in due capitoli. Nel primo i testi proposti saranno appunto analizzati comparativamente sotto le diverse suindicate problematiche entro il connubio tra potere e coscienza; nel secondo, essi saranno discussi nuovamente, per essere completati nella presentazione interpretativa, ricorrendo al concetto aristotelico di phrónesis, inteso quale sinonimo di saggezza, ragionevolezza, prudenza, ponderazione, giusta scelta e “giusto mezzo tra” e pensato quale possibile risoluzione “pratica”, soggettiva o relazionale, dei problemi etici singolarmente sollevati e discussi dai personaggi e “catarticamente” vissuti poi, in modo indiretto, dai lettori o dagli spettatori del singolo dramma. Uno studio dunque anche neo-riabilitativo sulla phrónesis che, per le sue caratteristiche costitutive, si porrà nelle vesti di una personale “traccia di proposta” risolutiva della conflittualità tra potere e coscienza e tra i principi fondativi contrastanti dei relazionanti e che, quale elaborazione simbolica universale, oggetto centrale dell’azione e del pensiero fattibile o solo possibile dei e tra i relazionanti (personaggi primari o secondari del dramma), verrà da noi suggerita come possibile condizione di “pensabilità mentale”, atta appunto a risolvere l’innegoziabilità delle posizioni ed il connubio “tragico” ed emblematico della possibile valutazione e del comportamento “pratico”, esteriore ed interiore all’individuo.
2013
Potere, coscienza, letteratura, azione pratica.
Tra potere e coscienza. La letteratura come luogo dell'azione "pratica" / Di Salvatore, Graziella. - (2013).
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