La presente dissertazione ha ad oggetto lo studio di alcuni degli aspetti più rilevanti del giusnaturalismo di Ugo Grozio, come, ad esempio, il metodo, l’antropologia, la nozione di diritto naturale, nonché in particolare la giustizia e la proprietà, insieme alla connessa dialettica tra diritti e doveri. Tali temi sono stati analizzati sulla base di un costante parallelo tra le sue due principali opere di diritto naturale e delle genti – il De Jure praedae (1604-06) ed il De Jure belli ac pacis (1625) – al fine di tenere debitamente in conto l’evoluzione interna del pensiero dell’autore. In effetti, in entrambi questi scritti, redatti a più di un ventennio l’uno dall’altro, lo jus naturae assume un ruolo centrale nella risoluzione delle controversie internazionali, sicché una loro lettura comparata consente di cogliere a pieno quanto abbia inciso sulla riflessione groziana in merito al diritto naturale l’adesione dell’autore all’arminianesimo, a seguito della quale egli si è allontanato dal calvinismo ortodosso. Scegliendo di seguire l’insegnamento di Arminio, Grozio, difatti, rifiuterà le tesi più estreme di Calvino sulla predestinazione, che negavano ogni merito all’agire umano e indicavano come fonte della morale unicamente il volere del Signore espresso nelle Sacre Scritture. A seguito di ciò il giusnaturalista olandese nella sua maturità, facendosi assertore di un’ontologia razionalistica, individuerà l’origine del diritto naturale non più nella volontà creatrice divina, bensì nei parametri valorativi metafisici di bene e male, che costituiscono pure essenze razionali, indipendenti dalla voluntas Dei. Prendendo le mosse appunto dalla diversa concezione ontologica su cui riposano i due trattati giuridico-politici groziani, nel primo capitolo si sono esaminate le differenze nelle classificazioni delle forme di diritto ivi presentate, mettendo in luce, soprattutto, come muti per Grozio il concetto di ragione, la quale, sebbene sia indicata quale fonte giuridica solo nel De Jure belli ac pacis, sembrerebbe però sostanzialmente essere considerata tale sin dallo scritto sul diritto di preda. Sicché, proprio in relazione al valore attribuito alla ratio dal giovane pensatore di Delft, si è cercato di evidenziare le particolarità del volontarismo groziano, rimarcando l’influenza stoica e tomistica già evidente nella costruzione filosofico-giuridica del De Jure praedae. Tanto è vero che già in questo trattato giuridico l’autore è chiaro nell’indicare nel ricorso alla ragione la prima via da seguire nell’attestazione della validità delle norme naturali, che troverebbe poi conferma nelle Sacre Scritture e nel consensus gentium, ossia in quanto ritenuto giusto dalle nazioni civili. Ciò ci ha indotto a concludere nel secondo capitolo che nella commistione di elementi volontaristici e razionalistici, che da sempre caratterizza il pensiero groziano, sia che prevalgano i primi – come in gioventù – sia che prevalgano i secondi – come nella maturità – Grozio resterebbe costante nella convinzione che sia possibile seguire una doppia metodologia per dimostrare l’esistenza dello jus naturae. In tal modo, l’autore si inserisce a pieno titolo nel dibattito seicentesco sul metodo con una proposta eclettica, secondo la quale si può provare la vigenza dell’ordinamento naturale o deduttivamente, mediante la conformità di una norma con la natura razionale dell’uomo (methodus a priori), oppure induttivamente, qualora essa sia ritenuta essere di diritto naturale ad opera di tutti i popoli, o almeno tutti quelli più civili (methodus a posteriori). In proposito, si è, tuttavia, voluto rilevare un aspetto della scelta di metodo groziana, che, a nostro avviso, sinora non è stato sufficientemente messo in rilievo dalla critica italiana e straniera. Il sincretismo metodologico, di cui Grozio si fa assertore, difatti, non sarebbe espressione della percezione da parte dell’autore dell’urgenza moderna di assicurare alle scienze morali la stessa certezza di quelle naturali. Da questo punto di vista egli sembrerebbe, piuttosto, rimanere ancora legato all’insegnamento aristotelico. Se, difatti, per il pensatore di Delft i princìpi delle leggi naturali, aventi in sé la loro verità, sono nozioni tanto certe che nessuno potrebbe negarle, lo stesso non può dirsi, invece, delle questioni morali, a cui, a suo avviso, giustamente lo Stagirita attribuiva il carattere della mera probabilità. Nel sostenere implicitamente la distinzione del diritto naturale dalla morale, l’autore pare mantenersi ancorato alla tradizione aristotelica. Ciò aiuta a comprendere la sua scelta di radicare i rapporti internazionali sul terreno certo e immutabile dello jus naturae, di cui, dunque, egli vuole assicurare la vigenza. Va osservato, però, che l’immutata importanza attribuita da Grozio nelle sue opere alla prova dell’esistenza dello jus naturae ha fondamento nelle diverse visioni antropologiche in esse descritte, le quali, pertanto, sono state analizzate nel terzo capitolo. Al di là della sostanziale differenza nell’idea di ratio – che da imago Dei diviene espressione, invece, di valori assiologici indipendenti nella loro esistenza dalla volontà divina – l’autore sin da giovane concorda nell’attribuire all’uomo, oltre alla razionalità, anche una spontanea tendenza a ricercare i suoi simili. Lo jus naturae propriamente inteso, difatti, è, a suo dire, preposto alla custodia societatis. Giacché l’ordinamento naturale si presenta come un insieme di norme finalizzate a garantire la pacifica convivenza umana, nel quarto e ultimo capitolo di questa dissertazione si è, dunque, sottolineato come l’etica sociale groziana presupponga la concezione della giustizia, quale virtù volta a regolare i rapporti tra gli uomini. Più specificamente, tale etica sociale prende le mosse dal riconoscimento all’uomo di una sfera di diritti naturali alla nascita, potenzialmente ampliabili attraverso una manifestazione della propria volontà, la cui violazione legittima il giusto ricorso alla forza da parte dell’offeso. Pertanto, si è voluto dimostrare come nell’ambito del sistema filosofico-giuridico edificato dal giurista olandese rivesta un ruolo fondamentale l’istituto giuridico della proprietà, mediante il quale in maniera consensuale le parti si trasferiscono la facoltà di disporre di un bene, che entra così a far parte del suum del proprietario. In tal modo, al bene acquisito è estesa la stessa protezione riservata alla propria personalità morale. Occorre, tuttavia, evidenziare sin d’ora che i due trattati giuridico-politici groziani di stampo internazionale, pur legando entrambi la giustizia alla garanzia del godimento di ognuno di ciò che è suo, muovono da una diversa definizione del giusto. In particolare, benché inizialmente l’autore mostri di condividere la concezione aristotelica del justum come medietà, nel De Jure belli ac pacis, invece, egli giunge ad una nozione prettamente negativa della giustizia, che, a suo avviso, consisterebbe nell’astensione dal suum altrui. Quest’opera, difatti, è scritta nel pieno della Guerra dei Trent’anni, quando la tensione bellica incominciava a divenire una costante nei rapporti tra gli Stati europei, sicché l’autore decide di attribuire al giurista un ruolo attivo, non speculativo, in quanto costui dovrà contribuire alla pace e all’ordine, piuttosto che limitarsi ad individuare la giusta parte, che spetta a ciascuno, ossia il giusto mezzo.

La nozione di giustizia nella filosofia politica di Ugo Grozio / Pizza, Ilaria. - (2015).

La nozione di giustizia nella filosofia politica di Ugo Grozio

Pizza, Ilaria
2015-01-01

Abstract

La presente dissertazione ha ad oggetto lo studio di alcuni degli aspetti più rilevanti del giusnaturalismo di Ugo Grozio, come, ad esempio, il metodo, l’antropologia, la nozione di diritto naturale, nonché in particolare la giustizia e la proprietà, insieme alla connessa dialettica tra diritti e doveri. Tali temi sono stati analizzati sulla base di un costante parallelo tra le sue due principali opere di diritto naturale e delle genti – il De Jure praedae (1604-06) ed il De Jure belli ac pacis (1625) – al fine di tenere debitamente in conto l’evoluzione interna del pensiero dell’autore. In effetti, in entrambi questi scritti, redatti a più di un ventennio l’uno dall’altro, lo jus naturae assume un ruolo centrale nella risoluzione delle controversie internazionali, sicché una loro lettura comparata consente di cogliere a pieno quanto abbia inciso sulla riflessione groziana in merito al diritto naturale l’adesione dell’autore all’arminianesimo, a seguito della quale egli si è allontanato dal calvinismo ortodosso. Scegliendo di seguire l’insegnamento di Arminio, Grozio, difatti, rifiuterà le tesi più estreme di Calvino sulla predestinazione, che negavano ogni merito all’agire umano e indicavano come fonte della morale unicamente il volere del Signore espresso nelle Sacre Scritture. A seguito di ciò il giusnaturalista olandese nella sua maturità, facendosi assertore di un’ontologia razionalistica, individuerà l’origine del diritto naturale non più nella volontà creatrice divina, bensì nei parametri valorativi metafisici di bene e male, che costituiscono pure essenze razionali, indipendenti dalla voluntas Dei. Prendendo le mosse appunto dalla diversa concezione ontologica su cui riposano i due trattati giuridico-politici groziani, nel primo capitolo si sono esaminate le differenze nelle classificazioni delle forme di diritto ivi presentate, mettendo in luce, soprattutto, come muti per Grozio il concetto di ragione, la quale, sebbene sia indicata quale fonte giuridica solo nel De Jure belli ac pacis, sembrerebbe però sostanzialmente essere considerata tale sin dallo scritto sul diritto di preda. Sicché, proprio in relazione al valore attribuito alla ratio dal giovane pensatore di Delft, si è cercato di evidenziare le particolarità del volontarismo groziano, rimarcando l’influenza stoica e tomistica già evidente nella costruzione filosofico-giuridica del De Jure praedae. Tanto è vero che già in questo trattato giuridico l’autore è chiaro nell’indicare nel ricorso alla ragione la prima via da seguire nell’attestazione della validità delle norme naturali, che troverebbe poi conferma nelle Sacre Scritture e nel consensus gentium, ossia in quanto ritenuto giusto dalle nazioni civili. Ciò ci ha indotto a concludere nel secondo capitolo che nella commistione di elementi volontaristici e razionalistici, che da sempre caratterizza il pensiero groziano, sia che prevalgano i primi – come in gioventù – sia che prevalgano i secondi – come nella maturità – Grozio resterebbe costante nella convinzione che sia possibile seguire una doppia metodologia per dimostrare l’esistenza dello jus naturae. In tal modo, l’autore si inserisce a pieno titolo nel dibattito seicentesco sul metodo con una proposta eclettica, secondo la quale si può provare la vigenza dell’ordinamento naturale o deduttivamente, mediante la conformità di una norma con la natura razionale dell’uomo (methodus a priori), oppure induttivamente, qualora essa sia ritenuta essere di diritto naturale ad opera di tutti i popoli, o almeno tutti quelli più civili (methodus a posteriori). In proposito, si è, tuttavia, voluto rilevare un aspetto della scelta di metodo groziana, che, a nostro avviso, sinora non è stato sufficientemente messo in rilievo dalla critica italiana e straniera. Il sincretismo metodologico, di cui Grozio si fa assertore, difatti, non sarebbe espressione della percezione da parte dell’autore dell’urgenza moderna di assicurare alle scienze morali la stessa certezza di quelle naturali. Da questo punto di vista egli sembrerebbe, piuttosto, rimanere ancora legato all’insegnamento aristotelico. Se, difatti, per il pensatore di Delft i princìpi delle leggi naturali, aventi in sé la loro verità, sono nozioni tanto certe che nessuno potrebbe negarle, lo stesso non può dirsi, invece, delle questioni morali, a cui, a suo avviso, giustamente lo Stagirita attribuiva il carattere della mera probabilità. Nel sostenere implicitamente la distinzione del diritto naturale dalla morale, l’autore pare mantenersi ancorato alla tradizione aristotelica. Ciò aiuta a comprendere la sua scelta di radicare i rapporti internazionali sul terreno certo e immutabile dello jus naturae, di cui, dunque, egli vuole assicurare la vigenza. Va osservato, però, che l’immutata importanza attribuita da Grozio nelle sue opere alla prova dell’esistenza dello jus naturae ha fondamento nelle diverse visioni antropologiche in esse descritte, le quali, pertanto, sono state analizzate nel terzo capitolo. Al di là della sostanziale differenza nell’idea di ratio – che da imago Dei diviene espressione, invece, di valori assiologici indipendenti nella loro esistenza dalla volontà divina – l’autore sin da giovane concorda nell’attribuire all’uomo, oltre alla razionalità, anche una spontanea tendenza a ricercare i suoi simili. Lo jus naturae propriamente inteso, difatti, è, a suo dire, preposto alla custodia societatis. Giacché l’ordinamento naturale si presenta come un insieme di norme finalizzate a garantire la pacifica convivenza umana, nel quarto e ultimo capitolo di questa dissertazione si è, dunque, sottolineato come l’etica sociale groziana presupponga la concezione della giustizia, quale virtù volta a regolare i rapporti tra gli uomini. Più specificamente, tale etica sociale prende le mosse dal riconoscimento all’uomo di una sfera di diritti naturali alla nascita, potenzialmente ampliabili attraverso una manifestazione della propria volontà, la cui violazione legittima il giusto ricorso alla forza da parte dell’offeso. Pertanto, si è voluto dimostrare come nell’ambito del sistema filosofico-giuridico edificato dal giurista olandese rivesta un ruolo fondamentale l’istituto giuridico della proprietà, mediante il quale in maniera consensuale le parti si trasferiscono la facoltà di disporre di un bene, che entra così a far parte del suum del proprietario. In tal modo, al bene acquisito è estesa la stessa protezione riservata alla propria personalità morale. Occorre, tuttavia, evidenziare sin d’ora che i due trattati giuridico-politici groziani di stampo internazionale, pur legando entrambi la giustizia alla garanzia del godimento di ognuno di ciò che è suo, muovono da una diversa definizione del giusto. In particolare, benché inizialmente l’autore mostri di condividere la concezione aristotelica del justum come medietà, nel De Jure belli ac pacis, invece, egli giunge ad una nozione prettamente negativa della giustizia, che, a suo avviso, consisterebbe nell’astensione dal suum altrui. Quest’opera, difatti, è scritta nel pieno della Guerra dei Trent’anni, quando la tensione bellica incominciava a divenire una costante nei rapporti tra gli Stati europei, sicché l’autore decide di attribuire al giurista un ruolo attivo, non speculativo, in quanto costui dovrà contribuire alla pace e all’ordine, piuttosto che limitarsi ad individuare la giusta parte, che spetta a ciascuno, ossia il giusto mezzo.
2015
Ugo Grozio, dovere, giusnaturalismo, diritto naturale
La nozione di giustizia nella filosofia politica di Ugo Grozio / Pizza, Ilaria. - (2015).
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