Nel nostro Paese si parla da tempo dell’importanza della formazione continua. I dati e le analisi sulla partecipazione dei lavoratori a opportunità formative testimoniano, tuttavia. la grande distanza che ancora ci separa dalle migliori esperienze internazionali e dagli obiettivi fissati a livello comunitario. Rispetto alla formazione degli adulti e alle dinamiche dei sistemi di relazioni industriali una riflessione particolare merita, in questa prospettiva, la vicenda dei fondi interprofessionali paritetici per la formazione continua introdotti dalla l. n. 388/2000 e ora inclusi, dai decreti di attuazione del c.d. Jobs Act, nell’ambito della rete nazionale dei servizi per le politiche del lavoro (art. 1, d.lgs. n. 150/2015). Un riconoscimento importante eppure dal sapore formalistico e di principio se è vero che la riforma del mercato del lavoro promossa dal Jobs Act interviene in un contesto più ampio di progressiva marginalizzazione e riduzione delle risorse di questi enti e, comunque, a dispetto del sostanziale isolamento dei fondi stessi, quantomeno sul piano dei meccanismi di cooperazione inter-istituzionale. Come documentato in recenti contributi, nel corso degli anni si è assistito a un progressivo ampliamento del numero dei fondi interprofessionali a cui non ha però fatto seguito un solido ancoraggio dentro i sistemi di relazioni industriali di riferimento. Sono in ogni caso pochi i fondi in grado di attuare, non solo per dimensione ma anche per professionalità e progettualità, strategie innovative e di avviare un progressivo radicamento nei territori dove emerge la domanda di nuove competenze e l’esigenza di riqualificazione del personale aziendale anche in chiave di gestione se non anticipazione dei fabbisogni espressi da imprese e mercato del lavoro. Il quadro, già deficitario, si è ulteriormente complicato col succedersi di interventi legislativi che hanno progressivamente ridotto risorse e margini di azione.
Fondi interprofessionali da ripensare per una moderna organizzazione del mercato del lavoro
Casano, Lilli;
2017-01-01
Abstract
Nel nostro Paese si parla da tempo dell’importanza della formazione continua. I dati e le analisi sulla partecipazione dei lavoratori a opportunità formative testimoniano, tuttavia. la grande distanza che ancora ci separa dalle migliori esperienze internazionali e dagli obiettivi fissati a livello comunitario. Rispetto alla formazione degli adulti e alle dinamiche dei sistemi di relazioni industriali una riflessione particolare merita, in questa prospettiva, la vicenda dei fondi interprofessionali paritetici per la formazione continua introdotti dalla l. n. 388/2000 e ora inclusi, dai decreti di attuazione del c.d. Jobs Act, nell’ambito della rete nazionale dei servizi per le politiche del lavoro (art. 1, d.lgs. n. 150/2015). Un riconoscimento importante eppure dal sapore formalistico e di principio se è vero che la riforma del mercato del lavoro promossa dal Jobs Act interviene in un contesto più ampio di progressiva marginalizzazione e riduzione delle risorse di questi enti e, comunque, a dispetto del sostanziale isolamento dei fondi stessi, quantomeno sul piano dei meccanismi di cooperazione inter-istituzionale. Come documentato in recenti contributi, nel corso degli anni si è assistito a un progressivo ampliamento del numero dei fondi interprofessionali a cui non ha però fatto seguito un solido ancoraggio dentro i sistemi di relazioni industriali di riferimento. Sono in ogni caso pochi i fondi in grado di attuare, non solo per dimensione ma anche per professionalità e progettualità, strategie innovative e di avviare un progressivo radicamento nei territori dove emerge la domanda di nuove competenze e l’esigenza di riqualificazione del personale aziendale anche in chiave di gestione se non anticipazione dei fabbisogni espressi da imprese e mercato del lavoro. Il quadro, già deficitario, si è ulteriormente complicato col succedersi di interventi legislativi che hanno progressivamente ridotto risorse e margini di azione.File | Dimensione | Formato | |
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